Giuseppe Mascara: “Ricordo la delusione nel 2011 in Spagna, eravamo una squadra “vecchietta” ma oggi è un Napoli diverso”
Il Villarreal è nel cuore di Giuseppe Mascara, nell’album dei ricordi felici dell’attaccante siciliano che nel 2011, all’età di 31 anni,
sbarcò a Napoli dopo sei stagioni a Catania ed altre ancora in giro per categorie inferiori. In pochi mesi, realizzando il più banale dei sogni, Mascara lottò per lo scudetto e debuttò in una competizione europea per club. I suoi ricordi ai microfoni de Il Roma
Al San Paolo fu 0-0 contro il Villarreal nell’andata dei sedicesimi di Europa League: «Fu un’emozione unica che porto dentro con tanto orgoglio. L’età non conta, l’importante è essere consapevoli dei propri errori e provarci sempre. Giocare in Europa, in una grande squadra, fu la prova evidente che il calcio è davvero imprevedibile».
Ironia della sorte, anche il debutto in Champions, l’anno successo, fu contro il Villarreal. Domani che partita sarà? «Le due squadre sono state rivoluzionate, sulla carta il Napoli ha qualcosa in più, è veramente forte, ma non sarà facile perché il Villarreal è un’ottima squadra in un buon momento di forma».
“El Madrigal” può rappresentare un ostacolo per il Napoli? «Un tifoso non ha mai fatto gol. Al ritorno lo stadio era pieno, l’atmosfera era caldissima ma c’erano anche molti tifosi del Napoli, talmente tanti che al gol di Hamsik ce li ritrovammo in campo (ride, ndr). Accadde tutto in pochi minuti. Inizialmente non ce ne rendemmo conto, poi notammo decine
di tifosi sul prato. L’importante è che nessuno si sia fatto male».
L’unica grande delusione fu l’eliminazione: dopo il gol di Hamsik risposero Rossi e Nilmar. Brucia ancora? «Un po’ sì. Giocammo una delle partite più belle della stagione. Lottammo dall’inizio alla fine, ci provammo. Forse peccammo un po’ d’inesperienza perché in quel periodo si viveva sull’onda dell’entusiasmo e potevamo gestire meglio il vantaggio».
In quella stessa gara esordì in maglia azzurra Victor Ruiz. Oggi è un pilastro del Villarreal ma al Napoli durò appena sei mesi, perché? «Non è mai facile inserirsi in un contesto collaudato, soprattutto quando hai davanti gente come Campagnaro, Cannavaro, Aronica, che gioca insieme da anni. Ma col tempo ha dimostrato d’essere un ottimo difensore».
Di quella rosa sono rimasti solo Hamsik e Maggio. Che segnale è? «Quando arrivi a traguardi importantissimi tutto può diventare piatto, spesso occorre cambiare. La nostra era una squadra “vecchiotta” ma con tanta esperienza, ora ci sono tanti giovani validi. De Laurentiis è stato bravo a stravolgere l’assetto migliorando la squadra».
Lavezzi, Cavani, Hamsik: dei tre tenori è rimasto solo il terzo, te l’aspettavi? «Certo che sì. Marek è il perno di Napoli intesa come città, squadra e spogliatoio. È una persona eccezionale, sa farsi voler bene, è un esempio per tutti ed aver costruito il progetto attorno a lui è stata una scelta intelligente».
Il 30 novembre eri al San Paolo, in Curva A, in occasione di Napoli-Inter. Sensazioni? «È stato fantastico. Io ci sono abituato, i miei amici no: erano increduli. Vorrei sottolineare anche l’accoglienza a Capodichino di sabato notte. In quei casi un calciatore può solo applaudire e dare ancor di più per raggiungere l’obiettivo. E poi quest’anno c’è una canzone nuova».
Un giorno all’improvviso…? «Esatto. Ho ascoltato attentamente il testo e l’ho così interpretato: dopo Maradona il Napoli ha vissuto anni difficili, ora è ripartito. La canzone è un inno alla rinascita, fa capire che la città è più compatta di prima ed è pronta a mettere pressione a tutti pur di tornare a vincere».
Fonte. Il Roma