Giuseppe Fiore (ex questore): “Vietare le trasferte è come ammettere di non saper gestire quei 200 da controllare”

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C’è Juventus-Napoli il 13 febbraio, il big-match, la partita per eccellenza, quest’ anno un testa a testa che vede al momento gli azzurri al comando, ma i tifosi partenopei non potranno andare a Torino. La trasferta è stata vietata. Il divieto diventa la soluzione. «Non ho mai chiesto di non far venire i tifosi ospiti, sarebbe un’ammissione di incapacità mia come rappresentante dello Stato». Giuseppe Fiore, napoletano, ex questore di Chieti e Ascoli Piceno e per tredici anni vice e capo della Mobile a Napoli, non è d’accordo con la richiesta del questore di Torino di vietare la trasferta ai tifosi azzurri.

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Perché? «Se ogni volta che c’è un problema lo risolviamo nella maniera più semplice, cioè che i tifosi ospiti non vengono, lo Stato quasi abdica a una sua funzione, che è quella di tutelare l’ordine in situazioni particolari. Le partite di calcio devono essere quanto più possibile condivisibili. È una questione di concetto e non di campanile: i primi a non venire in trasferta sono stati i tifosi della Juventus».

Lei parla per esperienza pregressa. «A Napoli ero spesso incaricato della tifoseria ospite. E da questore è capitato di sedere a tavoli dove si voleva decidere di non far venire il tifo ospite. Per Ascoli-Perugia, dopo che all’andata c’erano stati incidenti con feriti, al ritorno fu chiesto di non far venire i tifosi umbri. “Sono io il questore – dissi – abbiamo la possibilità di accoglierli in sicurezza”. Poi scrissero che blindavo la città. Meglio così: sono tornati tranquillamente a casa tutti, le tifoserie e il personale impegnato, che non è carne da macello. In dieci anni da questore non ho mai portato un ferito a casa tra i miei. Non perché fossimo più bravi, ma perché era tutto pianificato al massimo».

Ma con il Napoli capolista si muoverebbero migliaia di persone alla volta di Torino. «Tutte le organizzazioni sono comparate all’evento. Se ad Ascoli avevamo impegnati trecento uomini, a Napoli erano cinquemila. Non imporre il divieto serve a restituire normalità al calcio. Anche perché, dei cinquemila o diecimila tifosi che si muoverebbero, saranno 200 quelli che vanno controllati. Non siamo nati ieri».

Quanto conta il rapporto tra le questure? «C’è già un rapporto stretto. Ma deve essere operativo. Io ho raddoppiato il numero dei miei uomini che seguivano i tifosi in trasferta, pur tra mille difficoltà. Se lo carichiamo già noi l’evento, quando si finirà? Finirà che i tifosi del Napoli potranno seguire solo le trasferte con il Genoa e a Catania».

E i Daspo? «Bisogna poter colpire i propri tifosi. Non solo quelli di fuori, un’altra via semplice. Io a San Benedetto del Tronto ho “stangato”: un conto è lo Stato che non scherza, un altro è lo Stato che si fa trascinare da situazioni semplicistiche».

Il rapporto tra questure e tifo organizzato? «È addirittura un rapporto istituzionalizzato. Ma deve rimanere nell’ottica che la partita resti aperta a tutti. Spesso c’è conoscenza personale con i capitifosi, sanno di essere osservati e che non la passerebbero liscia. Se invece finisce sempre tutto a tarallucci e vino perdi di credibilità».

Non è assurdo che un tifoso non residente in Campania possa comprare il biglietto ma in settori non riservati agli ospiti? «Tra familiari e amici si potrebbe arrivare a essere in cento, ospitati in un settore riservato ai tifosi locali: sarebbe qualcosa di abnorme dal punto di vista della sicurezza. Il cretino di turno potrebbe creare grossi problemi».

Tratto da Il Mattino

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