Zeman, il calcio e lo sport: “Difficile cambiare le cose se il punto di partenza è sbagliato. C’è una cosa che mi addolora”

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Zeman e lo sport, non solo il calcio, è un rapporto indissolubile. Le sue battaglie sono storiche, le sue posizioni ed il suo coraggio in difesa dei veri valori sportivi lo hanno sempre contraddistinto.

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Sulla qualità del calcio italiano si è espresso, con preoccupazione, il ct Conte: teme un negativo effetto delle scelte di mercato dei club esterofili sugli Europei 2016. «La Nazionale deve ancora scendere in campo agli Europei. Bisognerà verificare come arriverà all’appuntamento, con quale grado di preparazione fisica e mentale. Aspettiamo».
Allenare una nazionale non interessa a Zeman? «Non fa per me: a me piace stare ogni giorno in campo».
Ma il limite del calcio italiano, rispetto a paesi europei più evoluti, è solo tecnico o riguarda anche la improbabile governance rappresentata dal discusso presidente federale Tavecchio? Come si può migliorare il sistema? «C’è un punto di partenza che non funziona: troppi soldi hanno fatto male al calcio, società e giocatori guardano più all’aspetto economico che a quello tecnico e spettacolare. Temo che non si possa tornare indietro perché il calcio è sempre più business e sempre meno sport. I ragazzi che giocano con un pallone, la loro crescita attraverso l’attività fisica: si è perso questo».
Lei lavora in Svizzera, il paese della Fifa: qual è stata l’eco dello scandalo che ha travolto Blatter e i suoi uomini? «Non se ne parla: siamo geograficamente più vicini all’Italia».
Ironia apprezzabile. C’è meno da sorridere sul dossier dell’agenzia mondiale antidoping Wada, che ha smascherato i “trucchi” dello sport russo e ha chiesto l’esclusione degli atleti dalle Olimpiadi. Adesso la battaglia non la combattono soltanto gli uomini, come fece lei nel 1998 attaccando la Juve, ma anche le istituzioni. «Se si vuole fare una lotta seria al doping, bisogna agire così. Non mi sorprenderei se uscissero altri paesi coinvolti in questi accertamenti».
Si riferisce all’Italia? «A tutto il mondo dello sport. Ma c’è una cosa che mi colpisce e addolora».
Quale? «La mancata reazione degli atleti davanti a un argomento simile, il loro silenzio. Parlo in assoluto, non di un particolare paese o un singolo sport. Mi chiedo quale piacere possa esservi a vincere senza il lavoro e senza il talento».
Cosa le è mancato in una lunghissima carriera?Uno scudetto? «Ho il campo e una squadra da allenare: è quello che voglio».
Dopo Lugano, alla soglia dei settant’anni, chiuderà? «Perché?Continuo».

Tratto da Il Mattino

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